Di Claudio Torcellan e Davide Furlan
Questo articolo è stato pubblicato su Private il 24 luglio 2020.
I dati ufficiali sono ancora fermi a marzo, ma i segnali sono incoraggianti. A seguito della pandemia, il mercato del risparmio gestito ha registrato una contrazione delle masse del 10% da inizio anno, causata prevalentemente dalle performance negative di mercato. I deflussi sono invece rimasti nel complesso sotto controllo, con una ricomposizione temporanea del mix verso le asset class meno rischiose e una raccolta positiva sulle soluzioni di protezione. A questo si aggiunga la ripresa dei mercati azionari registrata ad aprile.
Gli effetti della pandemia
Un contesto economico fortemente recessivo e caratterizzato da elevata incertezza come quello attuale premia alcuni tratti distintivi ben individuati dei modelli di wealth management: un elevato contenuto di advisory in grado di rafforzare il rapporto fiduciario nei momenti di difficoltà; processi di investimento e di risk management robusti; una dimensione critica sufficiente per assorbire la volatilità dei ricavi e sostenere gli investimenti necessari per il rilancio, soprattutto quelli collegati alla non più rinviabile digitalizzazione dei modelli di servizio.
Questa crisi presenta infatti alcune peculiarità che comporteranno un’evoluzione strutturale delle strategie degli operatori del settore. La forte accelerazione nell’uso massivo dei canali digitali per diverse aree di bisogno sta cambiando le aspettative dei clienti sui modelli di servizio offerti dalle banche private e dalle reti di consulenti finanziari.
Cliente più coinvolto
L’isolamento prolungato e il tempo dedicato all’approfondimento delle tematiche finanziarie comporterà la richiesta di un maggior coinvolgimento del cliente nelle decisioni di investimento. La crescente consapevolezza di vulnerabilità da parte della clientela più senior si tradurrà in un’accelerazione sui servizi relativi al passaggio generazionale e nello sviluppo di soluzioni ad hoc per i millennials. Infine, l’efficacia dimostrata dalle soluzioni di “smart working” durante la crisi porrà crescenti interrogativi sulle opportunità di trasformazione strutturale dei modelli operativi.
Un percorso in tre fasi
I wealth manager stanno affrontando la crisi seguendo un percorso evolutivo articolato su tre fasi gestionali, con un progressivo spostamento di focus dalle azioni manageriali volte a garantire la continuità aziendale nell’immediato, alla revisione informata delle strategie di medio-lungo termine in grado di cogliere le nuove opportunità di mercato generate dalla crisi.
La prima fase, ormai conclusa con successo, si è tradotta nell’attivazione dei piani di continuità aziendale (ad esempio soluzioni di smart working e monitoraggio degli outsourcer) e nella creazione di control room straordinarie, per sollecitare da un lato gli organismi politici e le autorità di vigilanza nel supporto alla crisi e gestire dall’altro una comunicazione proattiva alla clientela, limitando gli impatti sui risultati di business.
La seconda fase, attuale focus per la maggior parte degli operatori, include lo sviluppo delle azioni necessarie per assicurare la stabilità nel medio termine del modello operativo (gestione proattiva outsourcer, liquidità degli strumenti finanziari) ed economico-finanziario, tramite l’attivazione delle diverse leve di capital e risk management e di contenimento straordinario dei costi.
La terza fase, che inizia ad essere presente nell’agenda strategica dei vertici aziendali, sarà articolata su tre dimensioni. In primo luogo, sulla revisione del modello di business che prevede un chiaro interesse anche verso le opportunità di crescita inorganica. In secondo luogo, sul rinnovamento delle strategie di gestione attiva (in parte cannibalizzate dalle gestioni passive e total return che con la crisi hanno mostrano i loro punti di debolezza), in particolare con lo sviluppo di soluzioni maggiormente sostenibili, come i prodotti ESG, che durante la turbolenza dei mercati hanno registrato performance superiori alla media. Infine, su una nuova ondata di trasformazione digitale dei modelli di servizio e operativi alla luce delle esperienze positive maturate nei mesi di lockdown e della strutturale evoluzione delle abitudini di consumo degli italiani.
Si vanno quindi delineando i profili dei wealth manager che dal punto di vista competitivo usciranno rafforzati da questa crisi e che sono riconducibili a operatori di grandi dimensioni, in grado di consolidare la propria relazione fiduciaria con la clientela grazie all’elevato contenuto di advisory e all’offerta di prodotti adeguati alla domanda emergente, nonché alla vicinanza costante al cliente, anche tramite un approccio digitale che ne abiliti un forte coinvolgimento nelle decisioni di investimento e assicuri la massima efficienza operativa.