Il Sole 24 Ore: auto elettriche, così la Cina prepara l'invasione dell'Europa

Lo stop Ue ai motori a combustione dal 2035 ha spinto a pianificare una offensiva sulla quale però ora irrompe l'incognita recessione Alberto Annicchiarico A fine settembre William Li, fondatore e ceo della startup cinese di veicoli elettrici premium Nio, che, nata nel 2014 rincorre ancora l'utile (-700 milioni nel 2021 su 5,6 miliardi di ricavi, in crescita del 122%) ma è già quotata a New York, Shanghai e Singapore, ha ammesso che le cose non stanno andando proprio secondo i piani. La crisi energetica in Europa rischia di mettere a repentaglio l'espansione del brand, che ha fatto il suo ingresso nel continente ovviamente dalla Norvegia, dove 65 auto nuove su 100 sono elettriche e la rete di ricarica è capillare.Nio sotto il profilo della comunicazione e del modello di business è forse la punta di lancia del manipolo di brand cinesi ormai in corsa per la conquista dell'Europa: il colosso dell'elettrificazione Byd (che ormai tallona Tesla: 200mila Bev contro 343mila nel terzo trimestre), Great Wall, Xpeng, Chery (che entrerà a breve in Europa dall'Italia e dalla Spagna con il suv Omoda), la MG del gruppo Saic (statale, leader in Cina ma anche nell'export) e un altro gigante globale, la controllante di Volvo e Polestar, Geely, secondo azionista di Mercedes-Benz con il 9,7%.Ma la sfida ai grandi costruttori europei, da Volkswagen a Stellantis, da Mercedes-Benz a Bmw, è stata progettata ben prima dell'emergenza Covid e della guerra in Ucraina. La prospettiva dello stop Ue ai motori a combustione dal 2035, con una possibile torta da 8-9 milioni di auto già nel 2030 (2,3 milioni le elettriche vendute nel 2021), ha spinto i cinesi, tuttora marginali sul mercato continentale con i loro marchi, ad avviare l'offensiva.Eppure il dubbio che qualcosa possa non funzionare, dopo anni segnati dal calo della produzione per la carenza di microchip e adesso con una recessione dietro l'angolo, anche in Germania, si rafforza con il passare delle settimane e la paura per la crisi energetica. Il mercato europeo delle auto è letteralmente crollato: 9,7 milioni di immatricolazioni nel 2021 e 6 milioni da gennaio ad agosto nel 2022. I milioni erano 15,3 nel 2019. E mentre la quota di mercato delle elettriche in Europa (plug-in incluse) non supera il 20%, con le auto a batteria attorno al 10%, in Cina la quota supera il 26%. Volkswagen nei primi nove mesi del 2022 ha consegnato 366mila auto a batteria (+25% sul 2021, di cui oltre un terzo in Cina) ma questa sono le unità che Tesla produce in un trimestre, mentre la cinese Byd ne produce più della metà. «I conflitti geopolitici emergenti, in particolare la rivalità tra Stati Uniti e Cina - commenta Gregor Sebastian, analista del think tank Merics, di Berlino - creano venti contrari all'espansione europea dei produttori cinesi di veicoli elettrici. Anche in Europa, la Cina è vista sempre più non solo come un partner, ma come un rivale e un concorrente».L'Europa, ricorda un'analisi Merics, è già la destinazione principale per le auto elettriche costruite in Cina da marchi non cinesi. Nel 2021, le esportazioni globali dalla Cina sono più che raddoppiate a 555.041 unità (su circa 2 milioni totali, di cui 400mila veicoli commerciali) grazie a un boom della capacità di produzione. Circa il 40% è stato assorbito dall'Europa, dove i veicoli elettrici cinesi rappresentano il 10% delle vendite totali. In realtà questo accade proprio perché le case automobilistiche europee producono in Cina anche per il mercato di casa. L'ultimo caso è quello di Bmw, che entro il 2023 sposterà la produzione di Mini elettriche dal Regno Unito in Cina.La dimostrazione? Tra gennaio 2021 e marzo 2022 la torta delle esportazioni dalla Cina verso l'Europa è stata suddivisa così: solo il 2% ai produttori cinesi doc, quelli che adesso muovono con un'ondata di nuovi modelli verso il nostro mercato; 49% Tesla, 35% marchi europei di proprietà cinese (come Volvo e Polestar, di Geely), 14% joint ventures europee.L'Ue, quindi, è un consumatore netto di veicoli fabbricati in Cina. L'Europa è un mercato aperto, ha una rete di ricarica sempre più sviluppata ed elevati sussidi all'acquisto, che invece in Cina stanno sfumando. Inoltre, utilizzare la Cina come hub di esportazione per i mercati terzi significa una minore produzione in Europa. Un grosso problema per un settore che rappresenta il 7% del Pil continentale. Al contrario Pechino ha stretto le maglie dei sussidi alla vendita di auto ai produttori locali, ha favorito i produttori di batterie locali (Catl domina il mercato con oltre il 32%), sostiene economicamente i produttori locali.«La disparità di condizioni - puntualizza Sebastian - avvantaggia la Cina come hub di esportazione. I produttori europei devono produrre i loro veicoli in Cina per poter beneficiare dei sussidi, mentre i sussidi nell'Ue non sono vincolati alla produzione locale. L'Ue dovrebbe cercare di affrontare questo problema emergente anche se per ora i volumi sono relativamente bassi. Tuttavia, il futuro dei produttori cinesi di veicoli elettrici è difficile da prevedere e dipenderà dagli sviluppi geopolitici. Inoltre, un mercato cinese forte potrebbe assorbire più domanda e diminuire le pressioni sulle esportazioni».Intanto i brand cinesi doc affilano le armi, a dispetto della crisi. Chery approda in Italia e Spagna con il suv Omoda. Nio ha appena lanciato la sua ammiraglia, la ET7, berlina lunga oltre 5 metri con mille chilometri di autonomia, che in Cina costa almeno 70mila euro. In Europa, partendo da Germania, Danimarca, Olanda e Svezia sarà offerta con formule di leasing che si aggirano sui 1.200 euro mensili. Livelli da Porsche Taycan. Farà breccia nei cuori e nei portafogli dei clienti europei? Byd, con i suoi 3 modelli per l'Europa, in particolare il suv Atto 3 da 38mila euro (che ha superato il test di sicurezza Euro Ncap al top, con 5 stelle, pur se con un punteggio leggermente inferiore a Tesla Model Y e diversi modelli Mercedes-Benz, Bmw, Volkswagen e Renault), inizia da Svezia, Danimarca, Olanda, Belgio, Lussemburgo e Germania. L'Italia? a fine 2023.«Va detto chiaro - spiega Marco Santino, partner di Oliver Wyman - che però i target li stanno rivedendo tutti sulla base del costo dell'energia e dell'andamento della guerra in Ucraina. Il mercato europeo, soprattutto per l'elettrico, sembra o sembrava, prima della situazione in cui siamo adesso, essere attraente sia dal punto di vista dei volumi che della marginalità. Adesso abbiamo due ordini di problemi. Da una parte un'evoluzione del mercato dell'eurozona diversa da quella che potevamo aspettarci. E poi la reale propensione del consumatore ad adottare formule alternative all'acquisto, che si utilizzano per accelerare ingresso e radicamento in un mercato. Gli obiettivi di medio-lungo termine restano distanti perché parliamo di marchi che ad oggi non sono presenti. Un altro tema è capire se e quanto sia a livello comunitario che nazionale saranno mantenute le promesse di spinta alle nuove motorizzazioni».«Il punto - continua Santino - è capire qual è l'orizzonte di tempo che viene ritenuto soddisfacente per supportare l'investimento. Quando Hyundai decise di entrare in Europa mise in moto un processo lungo, durato una decina d'anni e che ha attraversato fasi congiunturali difficili, con un piano d'investimenti integrato che prevedeva un prodotto attraente anche sotto il profilo del prezzo e dei servizi, come la garanzia, comunque innovativa. E uno sforzo di comunicazione molto importante. I nuovi protagonisti si presentano con modelli di business alternativi, con strategie diverse, sia in termini di portafoglio prodotto che di ingresso commerciale. C'è chi scommette su prodotti di nicchia e costruzione del valore del marchio nel lungo termine e chi pensa a un ingresso che sia da subito interessante per fasce più ampie del mercato. Difficile prevedere che tutti questi sforzi possano avere un esito positivo, che tutte le case in gioco possano scrivere qui in Europa una storia di successo».Ma in definitiva, perché l'assalto all'Europa proprio ora, nonostante i venti contrari? Risponde Bill Russo, ceo di Automobility, società di consulenza con base a Shanghai. «Come prima cosa la Cina - dice Russo - ha il più grande mercato dei veicoli elettrici e domina la catena di fornitura dei componenti. Di qui i prezzi competitivi. Secondo. Il mercato cinese non è più in forte crescita, molti marchi non utilizzano la capacità disponibile. Devono quindi ricorrere alle esportazioni per vendere la loro capacità in eccesso. Terzo. I concessionari e i gestori di flotte in Europa desiderano che i veicoli elettrici si aggiungano alle loro offerte. La Cina offre ampia scelta e ottimi prezzi».

 

Leggi l'articolo completo qui.