Dal Pnrr l’occasione di ripartenza, per sfruttarlo bisogna innovare

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza è un’opportunità per tutti i settori industriali, ma solo le aziende più dinamiche e con strategie chiaramente definite ne beneficeranno.

 

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) offre al Paese l’opportunità di rilanciare e innovare settori che possono trainare l’economia, recuperando il gap di competitività accumulato in anni di elevata spesa pubblica e ridotti investimenti infrastrutturali. Considerando la leva finanziaria, si tratta di investimenti pari a oltre 20 volte il budget annuale di spesa dello Stato e oltre 20 volte i fondi europei annuali ottenuti dall’Italia. Una forte spinta sarà data alla transizione ecologica e alla digitalizzazione, per colmare il divario che separa l’Italia dalla maggior parte dei Paesi europei.

Le opportunità sono evidenti, numerose e riguardano tutti i settori, in particolare quelli a vocazione tecnologica e digitale (comunicazioni per il 12%), le infrastrutture (per il 16% ferrovie, strade, porti), la mobilità (produttori e operatori di nuova mobilità integrata intorno al 5%) e gli operatori energetici (10%). In base ai parametri imposti sulla spesa, circa il 40% dei finanziamenti andrà alle aree industriali del meridione e sarà di preferenza allocato su progetti che bilancino gli squilibri sociali, di genere e territoriale. 

Ma ci sono anche sfide da raccogliere, a partire dall’erogazione dei fondi, concessi con meccanismi definiti e un forte controllo centrale, strategia che mal si sposa con la parcellizzazione e la complessità del substrato industriale del Paese. 

Per garantire l’efficienza del processo, evitare la dispersione delle risorse e raggiungere tutte le aziende è centrale il ricorso al sistema bancario e ad agenzie istituzionali e territoriali.

Il ricorso al sistema bancario è anche necessario per accedere a un sistema affidabile di valutazione del merito creditizio e per affiancare con nuova finanza i progetti che ne avessero bisogno, mentre capitali di rischio potranno arrivare da investitori istituzionali e private equity. Un’altra possibilità è l’ingresso in Borsa.

C’è poi il tema della collaborazione tra i player coinvolti nella realizzazione dei progetti. In altri Paesi, dove la scelta dei programmi strategici è avvenuta in anticipo, i consorzi si sono formati alla loro definizione. In Italia i programmi sono nati su iniziativa di singole aziende, enti o ministeri e i consorzi si formano dopo l’approvazione del programma complessivo. Le aziende italiane possono scegliere tra essere leader di programma o partner strategici. I primi sono quelli che per vocazione naturale, dimensione e ruolo coordinano un’intera filiera o sono parte attiva nel proporre programmi nel Pnrr. Nella maggior parte dei casi le aziende collaborano come partner strategici, dando contributo tecnologico, di sviluppo o realizzativo. In assenza di un chiaro capo-filiera, bisogna individuare un coordinatore del consorzio, ruolo che può essere svolto da un’azienda, una banca, da un ente istituzionale e in certi casi da un ministero (per esempio nei programmi di digitalizzazione della PA).   

 

Il Paese è dunque all’inizio di un processo di trasformazione di enorme impatto, complesso e in rapida evoluzione, in cui le aziende virtuose sono parte attiva.

Il mix di filiere e distretti produttivi diventerà un insieme di ecosistemi complessi con partnership trasversali e collaborazioni più o meno strutturali. Emergeranno nuove aziende più grandi, più competitive, più sostenibili e appetibili per il mercato finanziario e per gli investitori, anche internazionali. Gli advisor specializzati, Oliver Wyman in prima linea, avranno l’opportunità di accompagnarle nelle fasi della trasformazione per assicurarne il successo.